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Visegrád Quattro: Sopravvivere, non prosperare, in mezzo alla discordia

Concepito all’indomani della fine del comunismo come canale di collaborazione per l’Europa centrale, il Gruppo Visegrád, che comprende la Repubblica CecaSlovacchiaPolonia, e Ungheria, con l’obiettivo di tessere queste nazioni nell’arazzo euro-atlantico. Ora, il quartetto sembra biforcarsi, come per la formula V4 = V2 + V2, diviso dalle loro strategie nei confronti dell aggressione della Russia in Ucraina. I cechi e i polacchi sono favorevoli agli aiuti militari, mentre Ungheria e Slovacchia sostengono che, a loro avviso, un maggior numero di armi non risolverà il conflitto. Lo scisma all’interno del Gruppo ha raggiunto un livello tale che si è parlato di una rottura de facto.

Tuttavia, all’indomani del vertice del Gruppo di Visegrad, convocato a Praga lo scorso febbraio in un clima di palpabile tensione, nel panorama mediatico dell’Europa centrale è emerso un consenso, che trascende le divisioni regionali e politiche, sul fatto che l’alleanza resiste e deve continuare a collaborare. Scrivendo su Pravda, il pensatore politico slovacco Tomas Strazay dispinge lo spettro della scomparsa del V4, affermando che il conclave dei primi ministri non ha segnato la fine dell’iniziativa di 33 anni come alcuni avevano previsto. Il V4, dopo tutto, “non ha mai aspirato ad essere un’entità regionale monolitica, che canta in coro”

.

È proprio la mancanza di istituzioni rigide che conferisce al gruppo la latitudine di intrattenere una pluralità di punti di vista, anche su questioni di importanza strategica”. Proprio questa assenza di uniformità permette coalizioni pragmatiche su fronti ritenuti reciprocamente vantaggiosi – si pensi, ad esempio, al sostegno all’agricoltura, all’energia o alle migrazioni. Facendo eco a questo sentimento,  Ivan Hoffman, in una colonna adiacente a Pravdacaratterizza il V4 come un conclave di Stati dell’Europa centrale, “legati non tanto da legami economici o da ambizioni politiche condivise, quanto da una memoria collettiva dell’esistenza dietro la cortina di ferro, una fratellanza di nazioni unite da destini geopolitici affini sulla frangia orientale dell’Occidente”.

“Anticipando un funerale a Praga, è emersa la rinascita del V4” heralds un titolo del quotidiano conservatore ungherese, Magyar Hírlap, che accompagna un’intervista ad Ágnes Vass, direttore di ricerca dell’Istituto ungherese per gli affari esteri. Vass sostiene che il tallone d’Achille del blocco, ma anche la sua risorsa più formidabile, è la sua malleabilità – una caratteristica che, nonostante le voragini scavate dalla crisi ucraina, sancisce ancora il consenso pragmatico in ambiti come l’energia e la migrazione.

Martin Ehl di Hospodářské noviny offre una diagnosi simile da Praga: “Il Gruppo di Visegrad non sta morendo, come qualcuno potrebbe immaginare, ma si è appena ricalibrato verso l’approccio forse più pragmatico dei suoi tre decenni di vita”. Dopo il vertice, i primi ministri del Gruppo si sono affrettati a respingere qualsiasi voce, affermando il potenziale di Visegrad come potente blocco di difesa all’interno dell’Unione Europea.

Le quattro nazioni trovano un raro accordo su un dilemma che minaccia di suscitare future discordie in tutta l’Europa centrale: l’afflusso di prodotti ucraini a basso prezzo. È una questione che risuona nel presente, tra proteste agrarie, e getta una lunga ombra sul quadro finanziario dell’Unione Europea, dove un terzo abbondante del bilancio alimenta il settore agricolo.

Sulle pagine del quotidiano polacco di riferimento,  Rzeczpospolita, il politologo Tomasz Kubin espouses una posizione altrettanto utilitaristica, scrivendo un messaggio intitolato “Non uccidiamo il Gruppo di Visegrad: potrebbe ancora rivelarsi molto utile”.” Egli sostiene la necessità di un “congelamento” delle attività del V4 piuttosto che di un completo stop. Kubin sostiene che l’alleanza potrebbe essere un attore significativo nei dibattiti sulle riforme dei trattati dell’UE o nelle trattative diplomatiche con le nazioni al di fuori del suo ambito, spesso condotte nel formato allargato “V4+”. Kubin sottolinea la praticità del rilancio di un quadro esistente rispetto al laborioso compito di assemblare una nuova coalizione dalle fondamenta.

legislazione – presumibilmente in spregio alle norme dell’UE – per proteggersi dalle ingerenze politiche straniere, è pronta a cedere una fetta della sua sovranità a Pechino, autorizzando i poliziotti cinesi a calcare il suolo ungherese in veste ufficiale.Világgazdaság, un quotidiano economico di Budapest,  non trova  alcun motivo di allarme, inquadrando la collaborazione con la polizia come una manna per rafforzare la sicurezza nei punti caldi del turismo durante l’alta stagione e in occasione di raduni di massa.

Il settimanale Heti Világgazdaság strike una nota più dissonante, diffidando delle implicazioni che si estendono oltre la mera salvaguardia dei turisti. Il giornale sottolinea la preoccupazione che il mandato di questi agenti comprenda anche la sorveglianza della comunità cinese locale e della forza lavoro asiatica nelle fiorenti fabbriche di batterie cinesi che punteggiano il paesaggio ungherese. Per anni la rivista ha denunciato il funzionamento surrettizio delle cosiddette “stazioni di servizio” in almeno tre città ungheresi – stabilimenti che, secondo gli attivisti, sono in realtà avamposti della polizia cinese che esercitano pressioni sulla diaspora.


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Ue e neutralità dell’Austria

Ralph Janik | Die Presse | 13 marzo | DE

All’ombra delle incursioni ucraine della Russia, Finlandia e Svezia hanno messo da parte la loro storica neutralità per unirsi ai ranghi della NATO, a testimonianza dei nervi nordici logorati dalla belligeranza di Mosca. L’Austria, incastonata tra le nazioni della NATO, sembra un’isola di distacco. La mossa del Cremlino ha scarsamente scosso le piume politiche della repubblica alpina, né ha stimolato una rivalutazione della sua posizione neutrale nell’odierno teatro geopolitico.

Ralph Janik, ricercatore di diritto internazionale che scrive per Die Pressefa notare che l’adesione dell’Austria all’UE la coinvolge nel Politica estera e di sicurezza comune web, in qualche modo in contrasto con l’affermazione del ministro della Difesa Klaudia Tanner di non intervenire in caso di attacco a un alleato dell’UE. La neutralità, pur non essendo stata negata, si è trasformata: l’Austria mantiene la prerogativa di eludere alcune azioni dell’UE, come il finanziamento delle armi ucraine. Tuttavia, l’adesione all’UE amplia il margine di manovra diplomatico di Vienna. Il marchio di neutralità dell’Austria è diventato un ibrido sfumato: flessibile, ma vincolato alle azioni collettive dell’UE. Potrebbe, se lo volesse, estendere il sostegno militare, in un gesto di solidarietà piuttosto che di neutralità.

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